venerdì 21 dicembre 2012

RECENSIONE DI PIANISTI ITALIANI.

Percorsi Musicali giovedì 20 dicembre 2012 Poche note sul jazz italiano (2° parte): piano A dire il vero, sono stato molto dibattuto sulla modalità di impostazione di questo articolo; ero conteso dal fare da una parte qualcosa di molto sintetico (cosa che però non mi permetteva di esprimere concetti) e dall'altra qualcosa di troppo analitico che non sarebbe bastato in un solo articolo. Ho deciso quindi per una sorta di storia a puntate, dedicando un post mensile ad ogni strumento, partendo dal piano. Volevo comunque fare delle precisazioni: queste liste di nomi e/o segnalazioni discografiche devono essere prese con una certa elasticità, tenendo presente che esse sono basate esclusivamente sulle mie cognizioni (che spero abbiate compreso nella parte generale), privilegiando l'idea di sviluppare una fotografia quanto più semplice e chiara possibile di quello che ritengo sia importante nel jazz italiano oggi. La stessa non ha nessuna pretesa di essere esaustiva e non deve pregiudicare giudizi su ulteriori ascolti ai quali non ho potuto dedicare tempo (anzi rinnovo l'invito ad integrarla tramite i commenti). Inoltre ho cercato di sistemare il tutto in una pleonastica suddivisione del jazz odierno in tre raggruppamenti principali: i tradizionalisti (bopper e fautori del mainstream), i post-moderni (improvvisatori free e i polistilisti free) e gli "etnici" (jazzisti con riferimenti alla cultura tradizionale). Pianisti L'Italia ha sempre avuto una grande tradizione di pianisti che nel jazz partendo da Gaslini ha espresso tanti nomi illustri. Alcuni di essi provengono da una tradizione non propriamente jazz (si pensi a D'Andrea o Salis), ma poi l'hanno abbracciata in maniera completa ed esauriente. Franco D'Andrea ha appena pubblicato un notevolissimo cd per la El Gallo Rojo, "Traditions and clusters", uno dei migliori della sua carriera, che capitalizzando il tipo di esperienze che si stanno facendo in quella label, rappresenta forse la summa di quell'idea di comporre attraverso un puzzle di suoni e di stili eterogenei in cui si esalta il leader e il gruppo. Antonello Salis, d'altronde, non sembra fermare la sua creatività e la voglia di abbracciare nuovi progetti: il suo secondo "Pianosolo" per la Cam Jazz è la migliore testimonianza della sua arte ormai pienamente incorniciata nell'olimpo dei migliori pianisti europei di sempre. Oggi però a livello pianistico il timone della promozione sembra essere nelle mani del giovane Stefano Bollani che può considerarsi una precocità del nostro jazz alla luce dei risultati raggiunti: Bollani, prima di far parte della scuderia Ecm, ha pubblicato parecchi cds in cui emergeva un pianista di larghe vedute che attingeva non solo alla tradizione jazzistica ma spaziava dalla classica del novecento alla formalità rock, con un tocco sicuro e deciso in cui l'originalità scaturiva da un certo grado di bizzaria strumentale che sembra pian piano essersi defilato nelle ultime prove discografiche dedicate a suoni/composizioni ugualmenti valide ma più internazionalizzate (si pensi alla differenza che c'è tra tra opere come "Les fleurs bleues" o "Smat smat" e "Piano solo" o "The third man"). L'altro pianista di casa all'Ecm Records è il particolarissimo Stefano Battaglia a cui ho già avuto modo di dedicare una breve recensione/monografia e alla quale vi rimando (1). Rimanendo ancora sui post-moderni di stampo più free, mi sembra ancora molto valida (seppur parecchio dilazionata nei tempi di incisione) l'opera di pianisti come Umberto Petrin (validissima la collaborazione con la tromba di Jean-Luc Cappozzo in "Law Years") e senza dubbio continua il lavoro prezioso di Gianni Lenoci che, saltando in maniera leggiadra ed intelligente nelle sue collaborazioni per le principali labels italiane ed estere del settore, rappresenta un punto fisso per determinate esperienze jazzistiche che si nutrono di apparenti dissonanze e dell'apertura verso l'uso "esteso" del piano (2). Sempre in questo àmbito un eccellente pianista è il sardo Sebastiano Meloni, un originale riestensore di suoni che si può apprezzare in un trio con Orrù e Tony Oxley in "Improvised music for trio", così come serio e lontano da compromessi è il lavoro del pianista Alberto Braida, di cui si possono apprezzare le caratteristiche in "Talus", nonchè in varie registrazioni nei formati più consoni al chamber jazz con contrabbassisti come De Joode, Hughes and Lisle Hellis e nei duetti con il clarinettista G. Locatelli; interessante è anche il lavoro al piano preparato di Fabrizio Puglisi, al momento nell'orbita degli improvvisatori creativi olandesi (si segnala "Duets for Prepared unprepared and toy pianos" con Albert Van Veenendaal). Restando nell'ambito dei giovani pianisti appartenenti al giro della El Gallo Rojo i più interessanti sono Giorgio Pacorig, fisso nelle formazioni di Danilo Gallo, Zwei Mal Drei -"We hope we understand"- e The Roosters -"Todo chueco", con un perfetto e dinamico stile di free tayloriano e Alfonso Santimone con i Laser Pigs di "Ecce combo" che imposta il suo pianismo free reimprovvisando sui temi dell'opera 19, Sechs Kleine Kalvierstucke di Schoenberg. Nell'ampia area della tradizione pianistica che comprende coloro che suonano bop (anche nelle sue forme avanzate) o che si avvicinano allo stile immortale di Bill Evans (stile che poi fu sposato da Enrico Pieranunzi qualche anno più tardi(3)), si trova la quantità maggiore dei nostri pianisti; se tra i nomi più illustri del recente passato si possono annoverare pianisti che pur non cambiando di una virgola la loro proposta hanno raggiunto livelli ampi di notorietà (si pensi in tal senso a Antonio Faraò, di cui nutro un bellissimo ricordo del suo esordio discografico "Black Inside"), ve ne sono altri che ancora non l'hanno trovata pienamente come nel caso delle ottime impressioni che vengono dai pianisti siciliani Salvatore Bonafede ("Dream and dreams") e Giuseppe Finocchiaro ("Incipit"); intanto si sta rinforzando la sezione dei giovanissimi emergenti: tra questi i più preparati e pronti già ad un percorso più impegnativo mi sembrano Roberto Tarenzi (attivo nell'entourage di Di Battista, che si può ascoltare bene in "13 Floors") e Claudio Filippini, brillante pianista che ha raggiunto un suo primo vertice in "The Enchanted garden", mentre Francesco Nastro, in una eccellente collaborazione con Gary Peacock e Peter Erskine in "Trio dialogues" e Stefania Tallini in "The Illusionist", dimostrano di essere dei bravissimi pianisti nei confini delineati dal Jarrett bluesistico primi anni settanta e il Lyle Mays morbidamente new-age. Particolarmente intenso è il retaggio "classico" che influenza le proposte del pianista Giovanni Guidi già diventato una realtà nazionale e che si può apprezzare nel trio di "Tomorrow never knows", e quelle mirabili del precoce ventiduenne Enrico Zanisi in "Life Variations". La contaminazione "etnica" di cui si faceva cenno prima è stata una costante che si è infiltrata nelle idee di molti musicisti jazz: questi hanno inserito nella composizione elementi a vario titolo che appartenevano a provenienze del centro-meridione italiano e delle isole; se il nord ha chiaramente insistito su un jazz che consolidava tendenze di matrice europea (oltre a quella americana di base naturalmente), nelle altre regioni si è spesso imposta la voglia di inserire elementi del proprio territorio, esclusivi di quel territorio, che potessero rinnovare la composizione. Sulla scorta di questa considerazione si sono avuti eclatanti risultati nella zona romana in estensione a quella umbra e toscana, dove grazie a pianisti come Pieranunzi o a compositori come Nicola Piovani si è venuti a contatto con una cultura presa nel suo complesso, che era il prodotto di un'insieme di riferimenti plurimi (la parte musicale vista anche nella sua storicità, la parte letteraria, quella cinematografica, etc.): in questo senso mi sembra che sia perfetta le connotazioni musicali fatte a Fellini, alla vitalità della capitale di quei giorni e al pregio di tanta letteratura locale. Per quanto riguarda la zona del napoletano il lavoro obliquo di inserimento "tradizionale" nella composizione di jazzisti, che già aveva interessato pianisti come Gaslini o D'Andrea in maniera incidentale, viene svolto (anche qui in maniera non costante nel corso della carriera) dalla pianista Rita Marcotulli che esplicita nel jazz la sorgente partenopea, con un modello elegante e raffinato, lontano dal saccheggio effettuato da tanti musicisti nel passato (in "Nauplia" con la cantante Maria Pia De Vito o con coraggio allargando gli orizzonti all'intera area mediterranea in "Triboh" assieme anche al percussionista turco-armeno Arto Tuncboyaciyan); nell'area sarda alcuni tentativi di interposizione culturale verranno da Salis nel progetto del "Il viandante immaginario", così come nel pugliese forte è stata la presenza di elementi risalenti alla cultura balcanica o indirettamente arabizzata: uno dei migliori esempi di queste tendenze molto integrate con la musica classica è quello dell'eccellente pianista barese Livio Minafra, figlio d'arte (che può essere ascoltato in "La dolcezza del grido" o "La fiamma e il cristallo"). In verità, l'afflato melodico o mediterraneo spesso è stato amplificato nei comprensori geografici di riferimento dai musicisti jazz e portato all'interno di un più generico labirinto di latinità che però è evidentemente nociuto; l'unico caso di pura modalità nel jazz odierno italiano è la proposta trasversale del pianista foggiano e mio caro collaboratore di questo blog, Giuseppe Perna (che può essere ascoltato in un disco significativo nel senso di questa disquisizione, in "Taormina").(4) Un particolare pianista siciliano Giorgio Occhipinti con l'Hereo Nonetto di "The Kaos Legend" e in "Histoire" s'impone nel progetto di integrazione artistica pressochè totale tra improvvisazione pura di stampo contemporaneo e distillate istanze mediterranee. Articolo tratto da: http://ettoregarzia.blogspot.it/ Note: (1) http://ettoregarzia.blogspot.it/2010/02/novita-jazz-stefano-battaglia-e-michele.html (2) anche a Gianni avevo già dedicato una recensione con breve monografia http://ettoregarzia.blogspot.it/2011/06/servire-lumanita-in-evoluzione-gianni_29.html (3) per Pieranunzi vedi http://ettoregarzia.blogspot.it/2012/04/enrico-pieranunzi-permutation.html (4) http://ettoregarzia.blogspot.it/2012/10/il-vero-respiro-del-mediterraneo-le.html

lunedì 10 dicembre 2012

ARMONIA ORIZZONTALE ED ARMONIA VERTICALE

Nel corso della mia attività didattico/musicale spesso ho ricevuto domande inerenti questo argomento, questo mi ha portato a ritenere che molti musicofli leggono ed ascoltano tali termini senza sapere esattamente cosa significano, lo scopo di questo articolo è di chiarire il significato di tali termini. Espongo prima la definizione per poi passare ad esempi pratici. ARMONIA ORIZZONTALE: Quando ad una scala possiamo alleare più accordi. ARMONIA VERTICALE (AV): Quando ad un accordo possiamo alleare una sola scala. In pratica queste due definizioni ci portano direttamente nella Armonia Tonale e nella Armonia Modale. Infatti l’ armonia tonale utilizza l’armonia orizzontale e l’armonia modale utilizza l’armonia verticale. Vorrei comunque sottolineare un aspetto e cioè che L’Armonia Modale in senso stretto è tutt’altra cosa e non è argomento di questo articolo; in questo articolo parlando di armonia modale mi riferisco alla applicazione di concetti modali nell’ambito della armonia tonale chiaramente nell’ambito di brani tonali o prevalentemente tali, come possiamo ascoltare in un opera che è stata promotrice di questo metodo: Kind of Blue, realizzato da Miles Davis nel 1959. Nel corso dell’articolo parlerò di melodia ed accordi, per accordi non intendo semplicemente la sovrapposizione di note ma anche una linea contrappuntistica dalla quali si estrapoli un concetto accordale, cosa più tipica della musica classica. L’armonia è una sola non esistono concetti esclusivi della musica classica, jazz o pop. I concetti sono gli stessi, può cambiare il modo di esporli, la terminologia, questo soprattutto in relazione all’epoca in cui essi sono stati esposti, può cambiare lo stile musicale, può cambiare la frequenza di utilizzo che certi concetti armonici hanno in un genere musicale rispetto ad un altro, ma l’armonia è una sola. Questo non è un articolo legato ad un’epoca o ad un genere musicale. Passiamo agli esempi: IL BLUES: E’ la più tipica forma musicale tonale in cui si esprime l’Armonia Orizzontale. Ad esempio esaminiamo un tipico blues in CVII. Gli accordi, a prescindere dalle elaborazioni, sono CVII-FVII-GVII, la scala che abbiniamo a tali accordi è la scala C blues. Quindi utilizziamo LA STESSA SCALA per tutti gli accordi. Ci troviamo quindi di fronte ad una “armonia orizzontale". LA SONG: Anche questa forma musicale esprime l’Armonia Orizzontale. Immaginiamo di avere un brano in C maj, le triadi diatoniche e di risoluzione delle dominanti secondarie sono D-F-A, E-G-B, F-A-C, G-B-D, A-C-E-, esse esprimono gli accordi rispettivamente di D-, E-, F, GVII, A-, abbiamo quindi tre famiglie di accordi: minore, settima, maggiore. Questi accordi possono comparire tutti o in parte in una song in tonalità Cmaj. Ognuno di questi accordi sarà abbinato alla scala di Cmaj o meglio ad una scala che comincia dalla tonica modale dell’accordo in questione ma lo spellling è quello della scala Cmaj. Ciò significa che l’esecuzione vive in un plateau armonico dovuto al fatto che adoperiamo diversi accordi ma sempre la stessa scala. Ci troviamo quindi nella Armonia Orizzontale. Un aspetto speculare di questo concetto è che: se troviamo ad esempio un accordo di D- in tonalità di Cmaj, all’accordo D- abbineremo la scala Cmaj, ma se lo stesso accordo lo troviamo in tonalità Bb suoneremo la scala di Bb, se lo troveremo in tonalità di Eb suoneremo la scala di Eb e così via. Quindi sullo stesso accordo adoperiamo scale diverse. Se decidiamo di comporre ed eseguire verticalizzando le nostre performance e le nostre composizioni otterremo una maggiore varietà armonica che ci consentirà di esprimerci in maniera più interessante in quanto la performance orizzontale sarà alternata a quella verticale creando anche l’alternanza tensione-distensione che è la madre di ogni struttura musicale comunque venga ottenuta. Per verticalizzare le nostre armonie dobbiamo entrare nell’ordine di idee di abbinare ad ogni accordo una sola scala, quindi l’alleanza accordo scala è fissa. Riprendo l’esempio precedente: abbiamo gli accordi D-, E-, F, GVII, A-, D-: abbiniamo la scala D Dorian E-: abbiniamo la scala E Dorian F: abbiniamo la scala F Lydian GVII: abbiniamo la scala G Mixolydian A-: abbiniamo la scala A Dorian. C: abbiniamo la scala C Lydian Queste alleanze sono valide ogni volta che troviamo uno di questi accordi “a prescindere dalla tonalità” . Questo metodo consente di verticalizzare in quanto ci permette di svincolarci in parte dalla tonalità del brano. Immaginate sempre in tonalità Cmaj di abbinare ad un E- la scala di E dorian, aggiungiamo due diesis in una tonalità che non presenta alterazioni in chiave! Oppure,sempre in tonalità Cmaj, se abbiniamo ad un accordo Cmaj la scala C lydian, oppure se ad un accordo di A- abbiniamo la scala A Dorian. È’ chiaro che tutto è affidato al gusto personale, non bisogna andare in overdose ne nell’adoperare l’armonia orizzontale né quella verticale. IN MEDIO STAT VIRTUS.

venerdì 7 dicembre 2012

CENTRI TONALI - 3° PARTE -

CENTRI TONALI – 3° PARTE - “CENTRI TONALI” NELLA ARMONIA CROMATICA Come già detto il termine “centro tonale” è una definizione concettuale generica, e visto che esso assume funzione diversa nella armonia tonale, nella armonia modale e nella armonia cromatica, anche la sua denominazione è diversa. Nella armonia cromatica il “centro tonale” viene definito più esattamente con il termine: “ANCORA TONALE”. Il concetto di “ancora tonale” implica che la tonalità sia flessibile ed in continuo flusso seguendo l’evoluzione della linea melodica. Durante l’evoluzione di una linea melodica possono essere stabiliti dei punti di tonalità temporanei la cui definizione può scaturire da alcune note in sequenza che identificano una scala diatonica oppure dalla presenza consecutiva di note che identificano un accordo. L’ “ancora tonale” è quindi un’isola di lirismo diatonico inserita in un conteso cromatico. La Tonalità nell’ambito cromatico non è necessariamente centrata su una sola tonica centrale come nella armonia tonale o su un modo prevalente come nella armonia modale, essa cambia i centri tonali a volontà, ogni nota della scala cromatica può assumere il ruolo di centro tonale con pari dignità rispetto alla tonica che precede. Tutto questo movimento armonico ha più potenza tonale degli insignificanti assortimenti di note che vengono proposti ed ascoltati di routine. La tonalità è evanescente, ma è lì, non è nella forma di una tonalità che domina il tutto, inoltre queste “ancore tonali” non hanno la necessità di risolvere. Vi propongo l’ascolto di un mio brano ove è evidente la presenza di una ancora tonale che si esprime attraverso una linea melodica che si ripete mentre l’armonia gira intorno ad essa in maniera libera, eterea. Bibliografia: "A chromatic approach to jazz harmony andmelody" - by David Liebman - "Contemporary Harmony" by Ludmila Ulehla. http://www.divshare.com/download/17941564-3bc